«Se non fai del male a qualcuno o non manchi a lui di rispetto non vergognarti mai di nulla, Meg», mi rammentava papà quando ero piccola.
Ricordo ancora la prima volta che me lo disse: quella sera avrei dormito dalla mia cara zia. Viveva vicino a casa nostra e si poteva andare a piedi e io a tutti i costi volevo portare anche la mia bambola preferita, “Bebi Mia”.
Non so quanti di voi la ricordano, ovviamente mi rivolgo alle femminucce. Era una bambola abbastanza grandina per una bimba di otto anni come me e mi vergognavo a portarla in braccio per la strada. Insomma, mi consideravo già una mezza donnina e andare in giro con un bambolotto avrebbe potuto rovinare la mia reputazione.
Chiesi quindi a mio padre di tenerla al posto mio, la brutta figura l’avrebbe fatta lui.
La frase che mi disse a quel punto m’illuminò, aveva ragione e mi sentii addirittura una bella e grande persona nel non aver causato dolore a nessuno intorno a me.
Purtroppo però, i buoni consigli di papà non ebbero grande successo nella mia vita. Ho sempre avuto un po’ di timore a mostrami per quella che sono, mi è accaduto soprattutto durante gli anni dell’adolescenza.
Per lungo tempo, persino da adulta, mi sono trattenuta o evitando di mostrare quello che creavo attraverso la mia fantasia.
«Sono stupidaggini», mi dicevo sempre, e le tenevo per me. Ebbene, evidentemente la mia autostima era a dei livelli parecchio bassi, non per niente ho avuto dei seri problemi alla schiena (tanto per citare di nuovo la psicosomatica).
Alla veneranda età di 38 anni, qualcosa dentro di me è cambiato. La vera Meg aveva una gran voglia di uscire allo scoperto e così, compiendo piccoli passi da formica (ed è giusto altrimenti si subirebbero dei traumi) si è fatta strada tra il pubblico e di conseguenza si é presentata al giudizio degli altri.
Insomma, per farla breve, ho scritto delle poesie che ovviamente ho sempre tenuto ben custodite e sigillate in una cartella del computer senza che nessuno potesse leggerle, a parte mia madre e due amici.
Sono degli scritti molto semplici (chiamarle poesie è davvero esagerato) però mi piacevano: quando li rileggevo mi capitava di dirmi «Bhè dai, brava Meg!».
Grande conquista.
Ho così deciso di postarne due, qui su questo blog, ma mai ho pensato di pubblicarne uno sul mio profilo personale di FaceBook, dove amici, parenti e concittadini a mio stretto contatto, avrebbero potuto leggerlee. E chi sarebbe uscito di casa l’indomani? Che vergogna!
Vergogna?
Riecco affiorare le parole di papà… e presto un lungo dibattito si è fatto strada nella mia mente: papà da una parte che ripeteva quelle parole e io dall’altra che rispondevo questa volta da adulta con le mie affermazioni: Non volevo, non ce la facevo, era più forte di me.
Alla fine invece ha vinto papà.
Sapete? Un giorno lessi una citazione, (purtroppo non ricordo di chi sia, se la riconoscete ditemelo che integro) che recitava più o meno così:
Scrivi! Ci fosse anche solo una persona a questo mondo che apprezza ciò che scrivi tu fallo!
Oh già!
Non so quanti apprezzeranno ciò che scrivo ma io… io stessa, stavo amando quella mia creazione.
Fossi stata anche l’unico essere su questo pianeta a farlo, ma qualcuno a questo mondo apprezza quelle parole.
Risposi alla domanda di mio padre che mi guardava serio: «Stai forse volontariamente facendo del male a qualcuno?»
«No»
“Copia-incolla” da Word e… “pubblica”. Click! Fatto.
Lo stomaco mi si è stretto appena un poco mentre la gente iniziava a leggere…
Ecco il primo “like” e poi il secondo e poi il terzo e così via… persino una condivisione e tantissimi complimenti. Ero davvero felice ed emozionata.
Molto.
Per chi volesse leggere la poesia è in chiusura di articolo, ma il significato di questo post è un altro e voglio che sia chiaro.
Non vergognarti mai!
Lo stesso consiglio che mio padre diede a me.
Se non avessi postato quel mio scritto non avrei potuto godere di tanta ammirazione, un’ammirazione che ha fatto crescere l’amore per me stessa e la mia autostima.
Un’ammirazione che mi ha fatto dire: «Hai visto Meg? Sei brava!»
Voglio dire… con tutta la gente che c’è che scrive cavolate astruse, posso essere peggio?
[No, non mi riferisco all’ignoranza, mi riferisco alla cattiveria, alla violenza, al brutale giudizio, alla voglia di litigio, eppure lo fanno, senza pietà per nessuno.]
E allora… «Sveglia Meg, esci da lì! Togliti di dosso quella corazza protettiva!»
E toglila anche tu, caro lettore: il mondo non è fatto solo di detrattori per partito preso che ti stroncheranno appena alzi un po’ la testa!
Credimi, ci sono persone là fuori in grado di dare tanto anche con un semplice commento e io voglio ringraziarli, ringraziarvi, tutti. Grazie di cuore.
L’appagamento sarà grande.
Infine, questa è la famosa poesia:
E ci rincontreremo dove brilla la brina, là, sul ginepro, come ti avevo promesso. E vedremo la nostra immagine riflessa nelle volte di neve, trasparente come una crisalide, a moltiplicare il nostro sorriso. In quel mondo si sentirà l’eco del nostro scoprire e tutto attorno a noi parteciperà all’essersi scelti, di nuovo, ancora una volta, nell’infinito. Vola, non temere, sali su. Siedi qui, accanto a me, su questo ramo. Il timor delle scelte è cessato, ora ad unirci è la libertà. Ricordo i tuoi capelli di aghi di pino, la tua pelle di resina, il tuo odore di adesso. Rimani, non ti manderò via. L’ho promesso molto tempo fa. Ascolta ancora la mia pelle mentre ti guardo tornare. Ritrovarsi, come non abbiamo fatto mai. Sentire il tuo mento contro il naso, delicato per non far male. Sentire che ridi nelle mie orecchie traducendo la tua gioia. Baciandomi in fronte. E ti accarezzerò con i fiori del mirto mentre il tuo stupore, tremando, prenderà vita nei miei occhi. Mi porgerai la tua mano e solo allora intrecceremo le dita come le nostre radici. Perché allora ad amarsi saranno le anime. Il ritorno. Così come ci siamo scritti. Così come il pianto che si rinnova di luce. Come una lettera in tasca sbiadita mai tolta. Cara. Che ti emozionava. Noi, nel sempre. In tutte quelle gocce di rugiada. Noi, l’evento. In ogni brezza sui nostri visi. Noi, amanti sopra al mondo. Il tutto. E potrò sentirti, mentre con la bocca mi osservi, mentre bevi il mio sapore e con le mani mi riconosci tua. Fremeremo, come lucciole luminescenti. Ricordi? Ci rincontreremo qui, e così è stato. Ora, ti pettinerò ancora con steli di paglia. Poggerò i palmi alle tue gote e mi vedrai. Disegnerò solchi nel fango con pigne acerbe mentre tu li nominerai. Ad ognuno un nostro momento. Ora, che conosciamo l’amore lo lasceremo fare. Nel petto, nella gola, in noi. Il suo scintillare appeso, oscilla facendoci suoi. E siamo ancora qui, io e te, amandoti più di prima. Più del tempo in cui le emozioni andavano tenute nascoste. Non qui. Non più. Io e te, perché così è stato detto. Il filo dipanato. Io e te, la meraviglia che non avrà fine. Perché siamo nati per essere l’insieme. Ti toccherò come un dito che sfiora una ragnatela. Traccerò il profilo del tuo sguardo nella penombra del crepuscolo. M’illuminerò come la Luna per esserci, affinché tu possa vedermi. Tu che sarai luce. E mi accoccolerò tra le tue braccia. Non sarà illusione. Catturerai con le labbra le mie emozioni. Sento il tuo battito e il tuo chiamarmi. Ti accorgerai che son sempre stata lì. Sentirò il tuo respiro su di me e resteremo, per tutto il tempo del bosco. (Meg)
Niente di che… ma è mia!
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