Sono nata e cresciuta in una terra che non è quella di origine della mia famiglia. E per tutta la vita sono stata fianco a fianco di persone che non facevano che parlarmi dei luoghi della loro infanzia, così diversi e distanti da quelli a cui ero abituata. Questo ha fatto sì che, diventata adulta, io non mi sentissi parte di nessun luogo veramente.
Non appartengo alla terra in cui vivo, né a quella in cui sono nati i miei genitori e vissuti i miei nonni. Al contempo, sviluppando nel periodo della pubertà un grande interesse verso culture differenti dalla mia, ho iniziato a sentire un richiamo verso quei luoghi di cui ho letto e sognato tanto.
Ci sono stati momenti in cui mi sono sentita addirittura avulsa dall’epoca che la mia macchina biologica sta attraversando, provando qualcosa di simile a una nostalgia per un tempo passato mai vissuto.
Tutti questi elementi mi hanno destabilizzato per lungo tempo e in parte lo fanno ancora. Inoltre hanno contribuito a creare una personalità, la mia, completamente libera da qualsiasi senso di appartenenza e che però in qualche modo, lo agogna.
Nell’ultimo periodo ho avuto modo di riflettere molto su questo tema e di conoscere altri con esperienze e vissuti molto simili ai miei, così credo di aver trovato infine una risposta a questi “dilemmi dell’animo umano”.
Un’antichissima profezia risalente al popolo Maya ci tramanda che la nostra epoca appartiene ormai dal 2012 alla cosiddetta Era dell’Oro, quella che vedrà crescere la Terra e i suoi abitanti nell’abbondanza, nella prosperità e nell’armonia. Gli individui nati a cavallo di questo periodo storico sono stati chiamati Eroi dei Due Mondi, perché a essi va l’arduo compito di accompagnare l’umanità nel delicatissimo e difficilissimo periodo di passaggio da un’era (quella del Ferro) all’altra (quella dell’Oro, appunto).
E allora mi sono detta… se ogni cosa si riflette nel microcosmo e nel macrocosmo, se “come sopra così sotto, come dentro così fuori, come l’Universo così l’Anima”… allora non è che forse questo “tenere un piede in due scarpe” che sento appartenermi dalla nascita fa parte anch’esso della trasformazione che la mia generazione è chiamata a portare nel mondo? Non può essere che questo mio sentirmi slegata da qualsiasi terra, origine, appartenenza sia in realtà uno specchio dell’epoca in cui vivo? E ancora: se così fosse, perché ostinarsi a vederla come una debolezza, una mancanza, quando posso trasformare questa mia unicità in una forza?
Perché in fin dei conti non si può vivere nella nostalgia, nella malinconia o nella speranza. Si vive il Presente, l’unico momento che esista. E cosa sono io, qui, ora? Che ricchezza ho da offrire al mondo?
Non ho solo le qualità delle genti delle mie origini, ma ho la fortuna e il privilegio di possedere in più anche quelle del luogo in cui IO sono nata e cresciuta. Non è un difetto, bensì un dono!
Un tempo tutti i luoghi e i momenti cosiddetti di mezzo, che non appartenevano né all’uno ne all’altro ambiente o periodo dell’anno e della giornata, erano considerati sciamanici: vale a dire luoghi/momenti in cui la magia era possibile, ponti tra il visibile e l’invisibile, tra realtà e fantasia, tra il possibile e l’impossibile. E allora anche noi che apparteniamo a due epoche, a due luoghi – geografici o dell’Anima – diversi, a due mentalità diametralmente opposte possiamo essere “sciamani” delle nostre vite.
E’ che a volte, semplicemente, guardiamo le cose col paraocchi, interpretandole con vecchi paradigmi che nella Nuova Era in cui stiamo entrando non esisteranno. Quelle cose che tendiamo a vedere come sbagliate (tipo la tecnologia, perché “si stava meglio quando si stava peggio”) perché così ci è stato insegnato, sono in verità dei punti di forza visti da una prospettiva diversa. E allora il giovane cittadino che vuole sopra ogni cosa andare a vivere in montagna, ma si sente di non averne il diritto perché è sempre vissuto in città, dovrebbe smettere di assecondare una convinzione mentale che lo limita e abbracciare la sua natura per metà cittadina e per metà montanara. Quanta ricchezza può apportare a un contesto di montagna ormai chiuso in se stesso, vecchio e arretrato un individuo venuto da fuori con la forza e la volontà della gioventù e della novità? Quanto può dare l’unione di due universi apparentemente distinti quali la moderna tecnologia e la montagna coi suoi antichi e lenti ritmi?
Questi sono solo alcuni spunti di riflessione, ma mi piace credere e sostenere con tutta me stessa che possiamo ribaltare per davvero quelle convinzioni limitanti che ci impediscono di realizzare quello che siamo venuti a fare su questo pianeta in questo periodo storico così critico: essere ponti, collegamenti, punti di unione tra due mondi opposti, ognuno a suo modo, ognuno con la propria voce, quella che vediamo come un nostro “punto debole”, ma che in realtà, se coltivato e nutrito con creatività, potrebbe diventare il nostro Cavallo di Troia.
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