Quante volte abbiamo sentito pronunciare la frase: "Ama il tuo nemico! Porgi l'altra guancia! Perdona!". Alzi la mano chi ha fatto catechismo, chi ha avuto un nonno saggio, chi è andato in Chiesa.
Tutto vero, ma non ci hanno spiegato il motivo da un punto di vista quantistico. Senza una valida spiegazione, una mente ragionevole resta a bocca asciutta. Il bimbo apre la bocca, convinto gli verrà fornito il buon boccone, e invece l'aeroplanino vola via senza entrare nell'hangar.
Per comprendere chi è "nemico" bisogna intanto vedere e riconoscere. Nemico non è colui che ha fatto uno sgarro. Il denaro può essere nemico e odiandolo non otterrai nulla.
Ma non sai di odiarlo. Un tuo schema mentale può essere nemico e odiandolo non otterrai nulla. Ma non sai di avere uno schema mentale. Il tuo collega, che cerca di farti le scarpe, può essere nemico. E nemmeno odiando lui otterrai nulla.
Ciò che non ci hanno spiegato è la responsabilità nei confronti del nemico. E' il perché esiste nella tua vita - o non esiste e non vuole giungere nella tua esistenza.
Dicono di porgere l'altra guancia e resti lì a chiederti: "Pure?!"
Dicono di perdonare, così ti metti la coscienza a posto e finisce lì.
Ma non è così, perché tutto ciò si trasforma in rancore e sopportazione, senza che tu neanche te ne accorga. "Ama il tuo nemico", dicono, ma non ti spiegano chi è questo nemico, né tantomeno ti spiegano il ruolo del Maestro.
Se un nemico ha il potere di essere tale e questo potere è suo, tu non puoi farci nulla. Ma se il nemico è tuo, pure il potere è tuo, e se lo è, sì che puoi far qualcosa. Significa che TU sei il padrone, TU sei il creatore e quel qualcosa lo puoi modificare o addirittura distruggere. Il punto non è "amare i nemici", bensì "non avere nemici".
Occorre però fare una distinzione tra due termini che a volte vengono utilizzati nello stesso contesto, ma in realtà possiedono due energie diverse.
Tutto ciò che avviene nella nostra vita è da considerarsi nostro figlio, e cioè una nostra creazione. Molti le chiamano "attrazioni", ma in verità sono creazioni inconsce che poi si manifestano.
Eppure, come nei confronti di un figlio, anche a livello materico serve considerare che "io sono io, mio figlio è mio figlio".
Qui giunge in aiuto la differenza tra creazione ed emanazione. La prima è qualcosa che creo, che ha parti energetiche mie, i miei gusti, il mio stato d'animo, ma è un'altra cosa. La seconda, invece, è un prolungamento di me dal quale non posso, anche volendo, separarmi.
In ambito spiritualeggiante si tende erroneamente a credere di avere l'obbligo e il dovere di chinare il capo dinanzi a una situazione o a una persona che ci sta provocando sofferenza, e la vita diventa una sorta di masochismo. Accade perché ci si convince di dover apprendere tutte le lezioni animiche che quella situazione/persona è venuta a offrire.
Ma il lavoro interiore è in realtà come un movimento oscillatorio che va dall’amare se stessi, qualsiasi pensiero o atto compiamo, al sacrificare, da “sacrum-facere”. Quest’ultimo può assumere diverse forme: dal semplice rinunciare a un piacere istantaneo ed effimero, al decidere di cambiare radicalmente la propria vita perché riconosciamo di essere entrati in un circolo vizioso, in una serie di abitudini e modi di fare disfunzionali alla nostra crescita interiore. Sacrificio però non è mai sinonimo di martirio.
Credete che per arrivare a percepire il divino che risiede in noi sia necessario camminare a piedi nudi su braci ardenti o fare pratiche di totale rinuncia ai piaceri della vita?
Pensate che tacere quando qualcuno si sta approfittando di noi, ci sta tradendo o umiliando sia un’”opera di bene”? Sì, forse questo atteggiamento appartiene alla “filosofia del quieto vivere” o ad alcuni dogmi antichi e probabilmente anche travisati dall’interpretazione mentale di noi umani, ma non ha nulla da spartire con l’autentico lavoro su di sé.
No, il lavoro interiore per come lo intende l’alchimia trasmutativa, non è mai un martirio.
E Anima non vuole essere martire. Posso, sì, riconoscere le mie responsabilità e i messaggi di quella data situazione. Ma una volta com-presi, il porgere l'altra guancia è deleterio.
Devo osservare, certo, ma al di là di ciò ho il dovere di tutelare me stesso/a da quel qualcosa con il quale ho inconsciamente risuonato, fino a crearlo involontariamente nella mia realtà.
Devo lavorare sul discernimento per comprendere qual è il confine tra sofferenza gratuita e sofferenza sacra.
Il lavoro interiore può essere molto duro, viene definito eroico, ma la sofferenza che è necessario attraversare per risvegliarci alla voce della nostra Anima non è MAI fine a se stessa, non è MAI deleteria per noi e soprattutto non è MAI volta a trasformarci in vittime.
Tocca a noi assumerci la responsabilità di ogni azione che compiamo per giungere sempre più vicini al nostro vero sé.
Come riusciamo però a comprendere qual è il percorso giusto?
Il nostro compito come anime incarnate è quello di trovarlo noi stessi, quel sapiente equilibrio perché è una lezione che nessun libro, nessun guru, nessuna scuola può insegnarci.
Esistono sono vie più adatte a ognuno di noi, discipline alle quali possiamo sentirci più affini, eppure sta a noi sentire di essere finalmente in armonia, sta a noi riconoscere l’energia che stiamo emanando e comprendere se è ciò che ci può aiutare ad evolvere o se invece viviamo ancora nell’illusione.
Quando agli inizi di un percorso di ricerca interiore raggiungiamo una sorta di equilibrio per la prima volta, tutto sembra assumere una luce splendente, la vita inizia a sorriderci, ci accorgiamo di cose che sono sempre state lì e prima non notavamo, siamo pieni di meraviglia, stupore e gratitudine.
Abbiamo un primo minuscolo assaggio di quello che potrebbe sembrare una specie di paradiso terrestre.
Ma le nostre ferite emotive sono ancora dentro di noi e Anima è sempre alla ricerca di “sfide” per evolvere.
Per questo motivo e per l’inevitabile “legge dell’oscillazione”, in un tempo indefinito ricadiamo in una delle nostre ferite e soffriamo molto, forse più di prima, perché ci eravamo illusi di essere ormai giunti alla nostra pace interiore. E’ proprio in quei momenti che entrano in gioco le nostre capacità di agire: mettendo in comunicazione la nostra parte femminile (accettando e accogliendo il dolore come un figlio) con la nostra parte
maschile(trovando disciplina nel mettere in pratica costantemente ciò che ci fa stare bene), lavoriamo per ritrovare quell’armonia interiore che sembrava allontanarsi.
E’ assumendoci la piena responsabilità della nostra vita che possiamo ritrovarci.
Tutto ciò vale anche per la malattia: è bene assumersi la responsabilità di quel malessere, che è una nostra creazione, ma è anche salutare pensare "il mio corpo è ammalato, non io".
Prendo il mio corpo e lo guarisco, ma IO SONO SANO. Sto bene, sono forte per poterlo fare.
Anche in questo caso possiamo parlare di "attenzione divisa", poiché restando Presente, collateralmente mi occupo anche del mio corpo che sta subendo quel problema. E avere l'attenzione divisa è difficilissimo, è pura opera di un Mago.
Osservo quella situazione come se guardassi un quadro. Sono il pittore, posso modificarlo, ma quel quadro è qualcosa che 'scindo" da me per guardarlo meglio e prendermi cura di ciò che mi attraversa dentro.
Il lavoro interiore è anche questo: è, nell’osservare, il sapersi destreggiare in un moto ondoso tra ombra e luce, paura e coraggio, sofferenza e gioia. Tenendo sempre a mente che, anche se spesso operiamo in maniera inconscia, è tutto parte di noi.
Tutto è già dentro di noi. Dobbiamo solo avere il coraggio di entrare nel nostro universo.
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